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Norba

NORMA







LA CITTA' DI NORBA



La data di fondazione di Norba non è sicura, lo storico Tito Livio, vissuto all'epoca di Cesare Augusto, narra che nel 492 a.C. vi fu dedotta da Roma una colonia, era
un' avamposto a difesa dai
Volsci, una popolazione dell'interno che si stava
avvicinando minacciosa sulla pianura pontina.

Norba sorgeva su un monte della catena dei Lepini che si erge ripido dalla pianura pontina per mt 450.

Pochi ma significativi i resti di questo periodo, il più importante è questa testa di gorgone che doveva campeggiare al centro del tetto di un primitivo tempio e che doveva incutere timore e rispetto ai fedeli.





Nel V secolo a.c. Roma era già una grande città, alleata con le altre cittadine latine, aveva esteso il suo controllo a gran parte del Lazio meridionale, ma proprio nel V secolo la propria supremazia venne messa in discussione a nord dagli Etruschi, più a sud dai Sabini e soprattutto dai Volsci che miravano a estendere il proprio territorio nella pianura Pontina e che occuperanno città come Velletri, Anzio, Satrico, Sora e Fregelle.




Nel
IV secolo a.c.. Roma, riaffermò il suo potere stringendo alleanze inviando coloni verso il mare a Ostia, Anzio e a Terracina, poi verso le zone interne come Cori e Segni.






In questa politica espansionistica un ruolo fondamentale assume
Norba, vengono costruite mura a difesa e a controllo di tutto il settore dei Monti Lepini e della pianura sottostante.

Nell'
82 a.C. la città di Norba viene distrutta; per capire il perché di questa fine, bisogna spostarsi a Roma diventata dominatrice incontrastata del mediterraneo ma in quegli anni dilaniata dalle guerre civili che opponeva Mario a Silla per la conquista del potere.

Proprio un cittadino di Norba,
Caio Giunio Norbano console a Roma era il più deciso partigiano di Mario e quando Silla vinse anche il destino di Norba, fu segnato.

Un esercito al comando di
Emilio Lepido, luogotenente di Silla strinse d'assedio la città di Norba riuscendo a entrare nella città grazie ad un tradimento di un cittadino Norbano.

La reazione dei Norbani tuttora lascia sbigottiti, preferirono suicidarsi, incendiando la città e procurandosi così una morte atroce anziché arrendersi.

Ecco come lo storico
Appiano descrive le ultime drammatiche ore di vita di Norba: " si dettero l'un l'altro la morte con la spada, altri si impiccarono, altri bloccate le porte incendiarono le proprie case, allora si levò un vento impetuoso che distrusse tutto".

La visita dell'antica
Norba è di particolare interesse per la grandiosità del poderoso perimetro delle mura poligonali, le cosiddette " Ciclopiche " e il fascino delle bellezze naturalistiche.

L'antica Norba è dominata da due acropoli, chiamate "
maggiore " e " minore", tra queste ci sono i resti di una costruzione che si considera, rappresenti uno degli esempi di stabilimento termale dell'antichità.

Si possono ammirare cisterne, pozzi, ambulacri dei passaggi sotterranei e alcuni tratti di basalato stradale ancora perfettamente conservato.

Dal forte impatto scenografico, i terrazzamenti di costruzione e contenimento, impressionano per la loro grandiosità, furono realizzati per addolcire i vari dislivelli del terreno all'interno della città Norba.

Per accedere alla città di Norba vi erano soltanto quattro entrate, le cosiddette "Porte", la
Maggiore, la quale è ancora perfettamente conservata, protetta da un torrione, un manufatto molto raro nel suo genere, poi le altre tre, la Porta Ninfina, la Porta Occidentale e la Porta Signina.









Dato che la città di Norba era prettamente militare, aveva anche delle entrate secondarie vicino alle porte principali, ed erano chiamate "
Posterule", ed erano concepite che potevano permettere il passaggio dei soldati soltanto in fila indiana.

La grandiosità delle mura ciclopiche dell'antica Norba hanno fatto pensare che queste fossero state edificate dai "
Ciclopi", una popolazione che si era trasferita dalla Grecia in Italia intorno al XIII sec. a.C.




Gli scavi che sono stati eseguiti le hanno datate presumibilmente intorno al 330 a.C. però per opera dei romani.

In un'area alle pendici dell'acropoli Minore, durante i saggi di scavo effettuati nel 1992, gli archeologi hanno ritrovato resti di travi carbonizzate, erano i resti di un tetto crollato a seguito di un incendio, forse proprio quello dell'82 a.C. che decretò la fine di Norba e dei suoi abitanti.




IL NOME: NORBA

Norba evidentemente è composta di due parole :
NO(va) ORBS oppure URBS che significano : NUOVA CITTA' ROTONDA.

I romani chiamarono
URBS la loro città che fu poi il nome equivalente di Roma, perché il primo tracciato di essa deve essere stato rotondo.

Analizzando il termine Norba si capisce benissimo la sua forma : essa siede sopra una collina spianata e descrive un cerchio quasi perfetto col perimetro delle sue mura. Perché fu detta nuova?
Quale era la città più antica, al confronto della quale fu detta nuova?

La spiegazione più ovvia pare debba provenire dal fatto che i primi abitanti della zona si erano fermati alle radici del monte, presso il lago Ninfa, negli anfratti delle numerose grotte della costa.

Gli
Etruschi o gli Albani sotto la minaccia dei pirati che venivano dal mare, o dei predoni del mezzogiorno, trasportarono questa gente sull'altura, fortificandone la residenza con mura rotonde e vallati nei luoghi pianeggianti.

La parola NORBA = Città Nuova distingueva questo luogo da quello abitato in precedenza.



LE TRE NORBE

Nella storia latina si conoscono tre Norbe.

La nostra situata sui monti Lepini, colonia albana e poi romana.

La Norba Cesarina nella Spagna, oggi Caceres, fondata da Norbani dopo la distruzione della loro città e che ha celebrato il bimillenario della sua nascita nel 1967 con francobolli commemorativi, recanti l'effige del nostro Caio Norbano.

La Norba Pugliese, oggi Conversano data alla luce dagli scavi compiuti dalla sovraintendenza nel 1958.


NORBA IN PIANURA E NELLE GROTTE

La zona pedemontana che corre dal colle della Mentuccia a Norma fino al territorio di Sermoneta presenta tombe o scavi a forno.

Inoltre, poiché la zona è ricca di grotte naturali e artificiali, si può pensare a una popolazione preistorica o ai cosiddetti Prisci Latini che in esse avevano i loro rifugi.

Del resto è noto che, dove stanno le tombe, nelle vicinanze dovevano esserci le abitazioni.

Il punto di richiamo per questa gente era la sorgente di Ninfa, dalla quale potevano attingere acqua per le necessità domestiche e per l'abbeverata degli animali.
Anche i pascoli dell'ampia campagna e la zona riparata dal vento invitavano a risiedervi.

Il colle di Norma offre esempi di grotte a tutte le quote.

Proprio sulle sorgenti del Ninfa c'è quella di
S. Angelo in un posto salubre ed esposto al sole e all'aria tra cespugli verdi di mortella e ciuffi taglienti di stramma: un luogo che in passato forse fu dedicato ai Numi (al dio Vertumna?) se i cristiani del secolo VII lo cambiarono in un santuario conservandone l'uso religioso.

Più in alto c'è la grotta detta
Arnale, (forse il nome deriva da "Arniale" un rifugio per le api) larga e spaziosa.

Gli arnali in questa zona sono tre:
Arnale la Menta; Arnale Vocca Larga; Arnalicchio.

Nella contrada
Vizzogo, si snoda un sentiero fino al Canalone della Valle della Viola, lungo di esso ci sono delle grotte alcune naturali, altre invece sono opera dell'uomo poiché si vedono ancora oggi i segni dello scavo.

Nelle grotte sono stati trovati indizi di abitazione dell'uomo e reperti di uso domestico, inoltre servivano anche da rifugio per gli animali.

Nell'era antica l'uomo trovava la propria sicurezza costruendo le proprie abitazioni su degli altopiani scoscesi, in prossimità di specchi d'acqua o dei fiumi così da rendere difficile l'accesso al nemico, se non era possibile trovare dei luoghi che rispettassero queste prerogative, allora costruivano dei grandi muri nelle vicinanze del villaggio, oppure costruivano dei fossati, per creare ugualmente le condizioni di difesa necessaria.

Infatti , le grotte di Vizzogo sono circondate verso il mare da una solida muraglia ciclopica costruita rozzamente.

A sud il fosso Canalone invece crea nel sottostante terreno una fenditura invalicabile, sia per la folta vegetazione circostante che per profondità dello stesso.






IL CASTELLIERE

Le città antiche costruite in pianura avevano un sicuro rifugio sulla fascia collinare o sul monte più vicino, dove mettevano da parte le cose sacre, i beni e le famiglie in tempo di pericolo.

Questo luogo ha il nome in archeologia di
Castelliere.

Era circondato da un muro a secco, da strapiombi naturali; se qualche punto toccava il piano e diventava accessibile al nemico, si scavavano dei fossati profondi per ostacolare la manovra di assalto.

La fascia costiera laziale verso i secoli IX, VIII e VII a.C. era infestata dai pirati
Greci e Fenici, i quali prendevano terra dalle loro veloci navi e saccheggiavano la gente, il bestiame e i viveri, che poi trasportavano sui grandi mercati o nelle loro terre d'origine.

Per evitare queste ripetute invasioni, la popolazione attorno a Ninfa pensò bene di abbandonare le antiche grotte e capanne per trasferirsi stabilmente con le abitazioni sul monte di Norba dove avevano già un rifugio di emergenza o Castelliere.

L'idea di questo cambiamento sembra che sia stata degli
Etruschi che in quel tempo commerciavano nella zona.

La massa della popolazione era certamente del luogo o Albana.

Si presume che il primo tempio di Norba sarà stato quello sul versante di Ninfa, dedicato alla triade etrusca:
Giove, Giunone e Minerva.

Adesso è chiamato tempio di
Lucina.

Non sappiamo quale fosse in origine l'ingresso di Norba sul monte, probabilmente fu quello della Porta Ninfina; oppure verso l'angolo orientale delle mura che guardano Norma moderna.


LA FONDAZIONE DI NORBA

Della fondazione di Norba gli scrittori latini parlano della sua esistenza molto raramente, eppure su antichi testi risulta che:

Norba fu una fondazione di Alba Longa, appartenne alla Federazione latina sotto la presidenza di Alba Longa; così lo era anche Roma!

A causa della distruzione di Alba Longa da parte dei Romani, Norba appartenne alla Lega Latina sotto la presidenza di Roma e nel 492 Norba diventò colonia del popolo romano.

L'odierna pianta della città di Norba non è quella originale della fondazione Albana, ma quella ingrandita dai Romani quando fondarono la loro colonia.

Può darsi che, la posizione generale dei templi, delle acropoli, delle vie secondo il
cardo, strada principale in direzione nord-sud dell'accampamento che incrociava perpendicolarmente il decumano, una strada con orientamento est-ovest, sarà rimasta pressappoco intatta: ma le abitazioni erano quasi tutte capanne.

Questo è avvalorato dagli scavi eseguiti presso altre città distrutte in epoca contemporanea di quella norbana come Satricum, e dai villaggi che si conservano nei pressi di Norma al
Colle Gentile e forse anche a Valle Le Pera.

Del resto anche Roma in quel tempo era una città di capanne e la reggia di Romolo era di paglia.

Le capanne erano a forma conica o rettangolare, avevano come base un muretto abbastanza alto costruito con delle pietre, unite a secco sul quale poggiavano dei tronchi di albero robusti, legati alla cima con piante arbustive quali le ginestre e le vitalbe.

Nelle costruzioni rettangolari le cime di questi tronchi sporgevano sul colmo della copertura fuori delle paglie come tanti V.

Tra i tronchi s'intrecciava un graticcio di rami più piccoli, giunchi e canne. Sopra si distendeva uno strato di paglia di grano che nella mietitura era lasciata lunga proprio per questo scopo.

La paglia era cucita sui legni con grossi aghi di osso o di canna oppure con delle tavolette, per tenere il tutto si usavano come filo la ginestra, la raffia e altri vegetali flessibili. Il rivestimento di paglia era impenetrabile all'acqua, al freddo e relativamente anche al caldo.

Tutto era però molto incendiabile, per ovviare a questo pericolo e per rendere im-possibile l'ingresso in capanna agli insetti e ai rettili, tutto l'interno era abbondantemente spalmato di argilla ben battuta e levigata, per cui l'abitazione diveniva più luminosa e sicura.

Normalmente il pavimento era scavato nel terreno; nell'età più antica gran parte del vano era sotterra, per la difesa e protezione che poteva offrire il suolo.

L'altura maggiore si chiamava
pure aree (dal latino arcere = tener lontano) o capitolium o anche praetorium.
Era il luogo più sicuro, più difeso; dove risiedeva il presidio militare, il tempio e gli uffici della Comunità.

Molto probabilmente il nucleo più antico di Norba è stato quello occupato dall'Acropoli minore ossia l'altura a sinistra della Porta Maggiore.
Essa fu circondata già allora da mura in pietra e quelle presenti costituiscono una muraglia addossata evidentemente a un'altra più antica che cingeva l'acropoli piccola.

LA COSTITUZIONE DEL COMUNE DI NORBA

Il comune di Norba era costituito come quello delle vicine città e della stessa Roma.
Ed era così composto:

1) la famiglia, della quale era assoluto padrone il "
Pater Familias";

2)
dieci famiglie formavano una gente;

3)
dieci genti erano 100 famiglie e formavano una Comunità.

Le curie si riunivano nelle solennità sotto la presidenza di un capo detto
CURIO e avevano un sacerdote proprio: il FLAMEN CURIALIS.

Indubbiamente c'era un dirigente, un'autorità nel governo di Norba, anche se non si sa se era stato insignito del titolo di Re.

Si presume che la maggioranza degli abitanti di Norba siano stati dei parenti; nelle famiglie ci sarà stata una certa correlazione gerarchica secondo le età e le proprietà.
I maggiorenni indubbiamente governavano il Comune e decidevano sulle vertenze legali dei cittadini. Li avranno rappresentati ufficialmente nelle assemblee generali, che si tenevano nella zona albana.
Norba poteva essere retta da un'autorità sacerdotale che impersonava, come in altri comuni della stessa epoca, la doppia autorità civile e religiosa.


NORBA COLONIA DI ALBA

Alba fu la prima potenza politica del Lazio. Si chiamò Longa perché si allungava sul ciglio orientale del Lago di Albano dalla parte scoscesa sopra Palazzolo e i Cappuccini.

Le acque del lago, dove essa si espandeva, erano molto profonde e si navigavano con molta difficoltà, questo per la presenza di numerosi mulinelli e le correnti sotto superficie.

Sopra s'innalza il Monte Cavo, detto allora Monte Albano, una cima ben visibile da tutti i castelli romani, celebre per il tempio di
Giove Laziale.

Le colline presso i popoli primitivi erano sede di Dio perché toccavano il cielo e la notte s'incorniciavano di splendori stellari.

Le campagne attorno ad Alba erano fertilissime. Da Roma a Terracina si estende un'immensa pianura fatta dì piccoli colli, dove la vite, il grano, i cereali maturano a meraviglia, e le greggi trovano pascoli erbosi e limpidi ruscelli per abbeveraggio.

In questa distesa di terra così ampia e fertile gli albani vennero con le loro famiglie a fondare le nuove città.

Norba e le altre città latine erano confederate sotto la presidenza di Alba, questa supremazia albana poco piaceva ai Romani, i quali erano nati con la passione del dominio.

Dagli scritti di
Dionisio di Alicarnasso ecco l'elenco dei popoli confederati secondo l'ordine alfabetico: Ardeati, Aricini, Bovillani, Burbentani, Corani, Corventani, Circeiensi, Coriolani, Corbinti, Cabani, Fortini, Gabini, Laurentini, Lanuvini, Lavinati, Labicani, Nomentani, Norbani,Prenestini,Pedani,Querquentani,Satricani,Scaptini,
Segnini, Setini, Telleni, Tiburtini, Tuscolani, Tolerini e Velletrani .

A quanto sembra questa Confederazione latina sotto la presidenza di Alba Longa non aveva una struttura giuridica e forte, come poi la ebbe sotto Roma.

Alba era la città madre, origine comune e luogo d'incontro, dove ogni anno le città confederate si riunivano per trattare i comuni problemi e offrire sacrifici alle Divinità.

La sua certamente non deve essere stata solo una presidenza onoraria, ma probabilmente anche di governo, perché i Romani ne furono tanto gelosi da pensare di accaparrarsela verso se stessi.

Tullo Ostilio re di Roma aveva già stretto un'alleanza con i Latini, forse per non farli andare in aiuto di Alba, quando fosse venuto il momento di attaccarla.

Precedentemente, prima della Lega Latina, Tuscolo era stata a capo della Lega che comprendeva: Ariccia, Laurento, Lanuvio, Cori, Tivoli, Pomezia e Ardea.


LA DISTRUZIONE DI ALBA LONGA

Roma era gelosa di Alba e ben presto la guerra fra le due città si scatenò in un attimo, senza odio, senza un'apparente perché, ma soltanto per il desiderio di supremazia.

Alba fu distrutta dopo il combattimento degli Orazi e Curiazi e dopo lo scempio disumano del suo re
Mezio Fufezio, episodio che perfino Tito Livio si vergogna di raccontare, data la feroce crudeltà con cui fu compiuto.
Le case crollarono l'una sull'altra, la polvere grigia che i muri cadenti alzavano con rumori sinistri, copriva i templi rimasti soli e silenziosi sullo specchio gelido del lago.

L'intera popolazione di Alba si trasferì a Roma e l'Urbe aumentò di colpo la sua popolazione di migliaia di abitanti.

Roma, quindi era rimasta sola a dirigere le sorti del Lazio. I suoi Re utilizzavano nei confronti dei Latini, a volte la maniera forte di guerra e di deportazione,in altre la maniera dolce, fatta di lodi, di amicizie e di feste.

Persa la guerra, Alba Longa aveva ceduto tutti i diritti del territorio a Roma.

I Re
Tullo Ostilio, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo si erano assicurati l'alleanza con i Latini.
I capi dei Latini furono convinti da Servio Tullio a costruire sull'Aventino il magnifico tempio dedicato alla
Dea Diana.

Tarquinio il Superbo fu un autentico criminale, fu tanto crudele che fece uccidere con l'inganno Turno Erdonio di Ariccia, soltanto perché questi lo aveva rimproverato di un suo notevole ritardo per una riunione indetta da Tarquinio nei pressi di Marino.

Tarquinio il Superbo convinse, a tradire pagandolo, un seguace di Turno, questi nascose nell'alloggio di Turno delle armi.

Il giorno dopo Tarquinio disse ai capi della Lega Latina che Turno voleva ucciderli tutti, questi credettero all'inganno attuato, andarono nell'alloggio di Turno, trovarono effettivamente le armi, presero il malcapitato gli legarono al collo una pietra e lo lasciarono affogare nell'acqua ferentina, una località nei pressi di Marino.

Tarquinio il Superbo, elogiò la Lega Latina per aver castigato giustamente il malcapitato Erdonio e chiese loro se volevano continuare, a essere ancora partecipi alla fortuna del popolo romano.

La Lega Latina aveva timore di rifiutare quest'offerta e subire ancora delle devastazioni da parte dei romani, come quelle perpetrate sotto il regno di Anco Marzio e in seguito da suo padre, così acconsentì, un po' per paura un po' sperando che ne potessero ricavare dei vantaggi poiché avrebbero avuto la stessa parità dei romani.


NORBA E I PIRATI

Nel Lazio, in quel tempo i
Greci e i Fenici con la scusa dei commerci assalivano e depredavano dei loro averi i contadini della pianura, a volte assalivano interi paesi e portavano nelle loro terre i giovani più robusti per renderli schiavi. Tra questi commercianti c'erano anche i Cartaginesi, un popolo molto potente e organizzato.

Per porre termine a queste scorribande, i Consoli Romani Giunio Bruto e Marco Orazio
stipularono un trattato di alleanza con i Cartaginesi.

Norba nonostante che era stata costruita su un'altura, aveva esteso il suo territorio fino al mare, quindi questo trattato metteva al sicuro anche i suoi abitanti.

Adesso i pastori potevano far pascolare tranquillamente le loro mandrie senza alcun timore, ricominciarono a costruire capanne, raccogliere i frutti del loro lavoro e portarli nei mercati per venderli e avere con sé i loro figli senza il pericolo che i pirati li rapissero per renderli schiavi.


NORBA SI INGRANDISCE

La città di Norba era stata dedotta a colonia Romana, così nel giro di qualche anno iniziò ad espandersi, alla fine dell'espansione misurerà mq. 381,960, il perimetro murario sarà di m. 2662.

Si può affermare che la costruzione di Norba fu soprattutto un'opera militare.

Il tracciato urbano di Norba appare disegnato con grande maestria, la disposizione dei tre templi vengono a formare un triangolo isoscele che rasenta la perfezione, le strade invece formano con gli edifici degli angoli retti.

Queste strade erano costruite secondo un preciso piano urbanistico, detto del
CARDO e del DECUMANO.

Sostanzialmente la città veniva tagliata a croce e a scacchiera, così da formare degli angoli retti, le vie erano dritte e parallele.

La strada principale di Norba era quella che collegava la porta Maggiore a quella Occidentale.

Le strade di Norba davano accesso ai templi e abitazioni, la strada principale era pressoché in piano, mentre le altre erano in salita, i vari terrazzamenti venivano collegati tra loro anche da scalinate.


NORBA E LE SUE ACROPOLI

La parola "
acropoli" è un termine derivato dal greco "akros", alto e "polis", città e indica la parte più alta di una città.

Nella Grecia antica indicava quella parte della città che era costruita per ragioni difensive sulla sommità di un'altura e spesso cinta da mura.

Norba ha due acropoli, la minore che guarda verso la Norma attuale, la maggiore è rivolta verso le montagne, la denominazione maggiore e minore è data dalla diversa altezza in cui si trovano e anche per la loro importanza.

L'
Acropoli Minore aveva la migliore posizione nell'ambito urbanistico e godeva un orizzonte più ampio, era la parte più vecchia della città e anche il luogo d'origine dei primi insediamenti umani, difesa anche dalla costa con un forte pendio che s'inerpicava dalla sottostante Ninfa.

Nell'acropoli c'erano due templi e numerose abitazioni, sotto il tempio più alto sorgeva una casa signorile, nelle vicinanze ci sono alcuni pozzi a forma di bottiglia per l'approvvigionamento dell'acqua.

Il terreno dell'acropoli andava degradando verso Porta Maggiore e Porta Ninfina.

L'
Acropoli Maggiore si trova a circa m.490 ed era l'estrema difesa di Norba, in essa c'era il presidio militare, gli uffici e la residenza delle autorità detta anche Capitolium ( il Campidoglio ).

Nell'acropoli c'era il tempio della dea Diana e due cisterne di grandi proporzioni che raccoglievano e le acque piovane.

Nei pressi di
Porta Segnina si presume che una parte era adibita a scuderia per i cavalli, oppure destinata all'allevamento di animali da cortile, però poteva esserci anche un nucleo di case in legno di povera gente o addirittura schiavi.

Dall'Acropoli Maggiore si aveva un'ottima veduta, le fortificazioni che erano costruite fuori dalla città erano in asse ottico con essa, per far sì che qualsiasi segnalazione di allarme venisse dalle "Murella", da "Serrone di Bove" o da qualsiasi altro punto era ricevuto dalle vedette.
Nell'eseguire gli scavi sono emersi quattro templi: uno dedicato a Diana e si trova nell'acropoli maggiore, un altro è dedicato a Giunone Lucina sullo sperone di roccia che sovrasta Ninfa; gli altri due sono situati nell'acropoli minore e s'ignora a chi fossero dedicati.

IL TEMPIO DI DIANA

Il tempio di Diana fu costruito per dominare tutta la città di Norba, infatti, il tempio è stato costruito sul punto più alto della cittadina, a quota m. 490.

Il tempio aveva un porticato su tre lati, ed era diviso in pronao e cella, forse era in stile ionico; l'archeologo Savignoni ritiene opportuno che quanto rimanga della costruzione dello stesso possa appartenere a una costruzione del tempo imperiale.

Il nome Diana vuole significare: luminosa, divina e questo deriverebbe dalla voce
DI(VI)ANA.

Poiché la luce splende nel buio, era venerata come dea della notte e dei boschi ombrosi.
La sua festa si celebrava il 13 agosto, nel giorno del plenilunio.

Il tempio della dea Diana godeva dell'immunità; gli schiavi vi avevano diritto di asilo, quindi la celebrazione di Diana era la festa degli schiavi.

Nel tempio di Diana durante gli scavi archeologici, furono trovate delle statuette: un Ercole coronato, due teste di Minerva, due statuette di bronzo e due iscrizioni.

1° (A)TTALU (S.DED) IT DIANAE DONUM Trad.: Attalo dette in dono a Diana

2° HAEDINIUS CHARIDEMUS V.S.L.M. queste lettere puntate significano VOTUM SOLVIT LIBENS MERITO Trad.: Edinio Caridemo sciolse il voto volentieri com'era giusto.

Nel tempio furono trovate nella stipe anche delle ossa appartenute a ruminanti, poi anche oggetti in coccio come, orecchi, mani, piedi, genitali maschili e femminili come ex voto per guarigioni ottenute.

Inoltre furono ritrovate anche punte di lancia, spiedi, pezzi di bronzo, monete repubblicane e delle figurine sbalzate su rame.
Fu trovata anche un'ascia con i margini rialzati di tipo corrispondente a quello delle terremare.


Diana dea dei boschi e della notte



IL TEMPIO DI GIUNONE LUCINA

L'altro tempio che era visibile in lontananza era quello dedicato alla dea Giunone Lucina, questo era stato costruito alla maniera latina con cella quadrata e pronao (
Nei templi greci e romani, era un' atrio con colonne antistante la cella della divinità ).

Sui tre lati, cioè sul davanti e nei fianchi aveva un portico ornato di colonne.
Forse fu il più antico tempio di Norba e l'acciottolato sottostante lo dimostrerebbe. Per analogia al tempio di Segni forse anche questo fu dedicato alla Triade etrusca: Giove, Giunone e Minerva.

All'inizio deve essere stato di legno con rivestimento e parti decorative in terracotta.
Difatti lungo il pendio del monte è stata trovata una antefissa o acrotero in coccio con figura mitologica. Poi si sarà tramutato all'uso romano secondo i tempi.

E' a quota 450; una quarantina di metri più in basso del tempio di Diana.

Il tempio aveva una gradinata e un' ampia terrazza lastricata di metri 13 X 13. Sarà stato un belvedere ornato di pilastri e ricoperto da una tettoia.
Di qui scendeva una via selciata che conduceva al centro della città.
Nel piano aveva una costruzione di pietre megalitiche che racchiudevano una specie di area sacra, nella quale erano sepolti col terriccio avanzi di sacrifici di animali, statuette e frantumi.

A Norba il culto di Giunone Lucina era associato a quello di Giove, il quale portava un appellativo di castità, forse per distinguerlo da Giove Anxur di Terracina, tristemente noto per la violazione della Ninfa Feronia.

Lo stereobate è dell'epoca delle mura megalitiche, fatte dai Romani.
Per cui dopo la deduzione della colonia, il vecchio tempio fu abbattuto (se c'era) e fu costruito questo.
Giunone Lucina era anch'essa la dea della luce, dalla parola LUCINA, protettrice delle nascite, della fecondità.

Era anche la particolare deità di ogni donna.

A Roma se ne faceva la festa il 1° marzo ed era la grande solennità del mondo femminile, chiamata Matronalia.

Le si offrivano per ex voto: mani, piedi, teste ed altre parti del corpo, formate in argilla, secondo le membra delle quali si attribuiva a Lei la guarigione.

La Dea aveva molti altri santuari vicino a Norba; il più celebre era quello di Lanuvio, dove si custodiva anche un serpente sacro, cui le ragazze offrivano focacce impastate di miele, che lui divorava in affermazione delle loro verginità.

Da questo tempio norbano durante gli scavi furono trovate delle figurine di terracotta simili a quelle di Tanagra ; statuette di bronzo, fra le quali una venere con la colomba di tipo greco severo, di eccellente fattura, ed un'altra di Giunone Lucina con patera di buona forma; poi vari vasi interi e rotti e due iscrizioni:

1) P. RUTILIUS M.F. IUNONEI LUOCINA DEDIT MERETOD DIONOS CASTUD.
2) IUNONI LOCINA DONO PRO C. RUTILIOF. F.


Statua di Giunone Lucina



I DUE TEMPLI DELL'ACROPOLI MINORE

L'acropoli minore conteneva due templi.

Il tempio più grande che è posto in alto, aveva una gradinata dall'interno della città. Sull'angolo a destra della fronte vi è un blocco sul quale sono incisi due X distanti tra loro.

Pare fosse di stile ionico perché si sono trovati pezzi di colonna a scanalature ioniche. Poco distante si conserva ancora un pozzo sacro (favissa?).

Osserva il Savignoni che oltre il basamento (stereobate) l'edificio non conserva traccia di muri sopraelevati.

Ciò induce a pensare che sia una costruzione etrusca di legno con decorazioni in laterizio e ceramica.

Sono stati raccolti frammenti di acroteri o antefisse di una dea che afferra i leoni simili a quelli di Alatri, Faleri e Satricum.

E una testa muliebre, sempre in coccio, etruscheggiante, della scuola di Vulca, e piedini per ex voto.

IL TEMPIO PIU' PICCOLO

Più in basso c'era un altro tempio di m. 16,50 X 8,16 circa.
Anche questo era originariamente di legno e terracotta.
Aveva una scalinata davanti che lo elevava dalla strada e lo metteva come sopra un piedistallo per una maggiore maestosità.

LA NECROPOLI NORBANA

Anche a Norba secondo l'uso romano c'erano due necropoli: una monumentale situata lungo le strade fuori città; un'altra popolare a distanza di circa 2.000 passi secondo gli editti consolari dell'ultimo tempo repubblicano.

Vediamo la necropoli monumentale.

Sulla strada Ninfina.
Venendo da Norma, proprio al gomito della prima svolta ci sono quattro tombe evidentemente tagliate dai lavori stradali.
Sono tombe a forno con banchína dove si adagiavano rannicchiati e legati per farli sorreggere più cadaveri della stessa famiglia; a destra c'è una specie di altare per riporvi le offerte sacre.

Due di queste tombe sono franate e se ne vede l'avvallamento; quella che potete vedere in foto, ora è stata convertita in piccola edicola votiva con inferriata da alcune signore di Norma le quali certo ignoravano cosa fosse questa piccola grotta.




La tomba oggi

Un'altra tomba dev'essere all'angolo, ricoperta da vegetazione.
Poco di sopra lungo il pendio c'è un pozzo rotondo dove i vecchi pastori buttavano le carcasse degli animali morti di peste e malattie.
Dovrebbe essere una tomba a pozzo.

Sulla strada Corana.
Era questa una via importante e di essa si conserva qualche tratto di acciottolato a zig zag nella proprietà dei Prosseda al colle della Mentuccia. Sono state rinvenute iscrizioni tombali e lapidi tramandateci dagli scrittori e che riportiamo altrove. Nel fosso Canalone furono trovate molte olle cinerarie.

Sulla via Segnina.
Negli scavi del Savignoni del 1901 vi furono fatti dei sondaggi; ma non trovarono nulla perché non riuscirono a toccare il punto preciso.
Un contadino invece, mentre coltivava la sua " cesa " proprio in quella zona trovò dei morti inumati.
Molte volte il monumento era sulla via e il defunto riposava un po' discosto.
Nel pomerio della porta Segnina alcuni ragazzi per caso trovarono un cippo scalpellato. Presi da curiosità scavarono e trovarono una olla cineraria.

La Necropoli popolare ancora giace inesplorata, il contenuto non dovrebbe essere molto dissimile da quella esplorata a Carapupa e dovrebbe essere ancora intatta perché i defunti erano sepolti a notevole profondità, circa due metri in media.

Una piccola necropoli cristiana invece è stata scoperta nell'acropoli minore presso il tempio più in basso.

Siccome il tempio medesimo era stato trasformato, in chiesa cristiana, i fedeli vi avevano deposti i loro defunti presso le sue mura.


LE MURA CICLOPICHE DI NORBA

La fantasia popolare, alimentata senza alcun dubbio dalla grandiosità delle mura, che circondano Norba e i paesi laziali della stessa epoca, ha chiamato queste mura ciclopiche, cioè opera dei Ciclopi, gente straordinariamente grande e leggendaria, che aveva un solo occhio in fronte.

Si credeva che la messa in opera di quei massi enormi, messi uno sopra l'altro con facilità sorprendente, avesse richiesta una mano gigantesca, proporzionata al peso.

Si chiamano anche pelasgiche dai Pelasgi, un popolo famoso, cui si dava il titolo di divino.

Nella Storia dell'Arte queste mura si chiamano Mura a sistema poligonale perché la faccia della pietra nella inserzione con le altre ha molti angoli.

Questo sistema di costruzione quando è messo in piccole dimensioni a cortina o pavimentazione si chiama opera incerta.

Nella costruzione delle mura megalitiche norbane possiamo distinguere tre epoche:

1° epoca: Mura megalitiche del Villaggio preistorico " Le Grutti ".
Queste mura non hanno ritmo costruttivo, né levigatura di massi nei punti di contatto. Anche il principio statico del contrasto vi è un'imperizia ed è incerto.

2° epoca: Mura megalitiche di Norba precedenti l'allargamento su tutto il perimetro collinare delle mura stesse.
Forse furono erette quando Norba era ancora nella confederazione albana e nella sua prima costituzione a Comune latino sul Monte.
Sono state riconosciute dal Savignoni nell'acropoli minore e risultano addossate o inglobate nella fortificazione romana seguente.

3° epoca: Mura megalitiche eseguite dagli Etruschi dopo l'anno 492 a. C. su tutta la pianta della città ormai colonia romana.
Sono le più evolute e perfette e collimano come età e stile a quelle delle città lìmitrofe : Cori, Segni, Alatri ecc.

Tra queste tre età potrebbero trovare inserimento forse le mura di altri posti norbani, non ancora sufficientemente studiati, quali la fortificazìone delle " Murella " e del colle " Gentile " e di Serrone di Bove.
Secondo la forma, a Norba si possono vedere tre tipi di mura poligonali:

- blocchi messi uno sopra l'altro senza alcuna lavorazione ;
- blocchi più piccoli lavorati ma non in superficie ;
- blocchi grandi lavorati e levigati in superficie.

La differenza tra i tre sistemi è dovuta alla età della costruzione e al luogo che difendevano.

In una zona alta, alla quale il nemico non poteva accedere per lo strapiombo della roccia sottostante, i blocchi di pietra erano messi unicamente per dare alla difesa un maggiore spazio di manovra.

Evidentemente dove il muro si elevava dal suolo pianeggiante, e il nemico poteva salire con scale, o aggrapparsi alle asperità della pietra, era necessaria una perfetta levigazione.

La connessione doveva essere precisa al massimo, da non potervi piantare chiodi o ramponi.

Negli anni passati si è discusso sulla antichità di queste mura, anche perché rassomigliano in certo modo a quelle di Tirinto e di Micene, città della Grecia, le quali ascendono all'anno 1000 o 1500 a.C..

Ma dagli scavi di Norba eseguiti dal Ministero della Pubblica Istruzione, diretti da L. Pigorini ed eseguiti dagli ingegneri Mengarelli e Savignoni dal 1901 al 1903, furono trovati una quantità di cocci di varia forma : campani ed etruschi, i' quali non rimontavano affatto alla età micenea.

Risulta anche che molte parti interne della città erano costruite in opera poligonale.
Chiaro segno che l'alone di favola intorno alla antichità nebulosa delle mura norbane, deve ridursi invece a poco dopo la fondazione della colonia, cioè non prima del secolo IV a.C.

Il Savignoni racconta di aver eseguito i sondaggi di accertamento sulla muraglia esterna verso S. Giovanni: questa è della ultima epoca. Perciò pur rimanendo fermo il suo giudizio sulla età di queste mura da lui esaminate, non è detto che le altre precedenti a queste (ed egli ammette che vi siano nell'acropoli minore) appartengono allo stesso tempo; né tanto meno vale per le mura ancora più antiche
esistenti a Vizzogo.


NORBA OPERA COSTRUTTIVA DEGLI ETRUSCHI

Gli esperti danno il merito ingegneristico della costruzione di Norba agli Etruschi.
A distanza di oltre duemila anni queste mura appaiono incredibili per la difficoltà della posa in opera di blocchi tanto pesanti.
Ma la nostra incredulità scompare, se conosciamo meglio questo meraviglioso popolo etrusco, che era erede della civiltà egizio-micenea e, nei suoi tempi, gareggiava coi tecnici greci nell'erezione del loro tempio maggiore: il Partenone.

Gli ingegneri etruschi erano all'avanguardia della tecnica costruttiva.
Dall'esperienza delle mura ciclopiche essi dedussero una scoperta sorprendente: l'arco.
Solo essi tra tutti i popoli antichi lo conobbero e fecero le porte di Perugia e di Volterra.

I Romani rifiutavano il lavoro manuale. Tarquinio il Superbo aveva ordinato che essi aiutassero gli etruschi nel fare i gradini del Circo e a costruire la Cloaca Massima.


Cloaca Massima

Ma gliene fecero critica; glielo rinfacciarono anche dopo la sua caduta, perché, dicevano, di aver ridotto un popolo di guerrieri a fare gli spaccapietre e a lavorare sottoterra come le talpe.

La mano d'opera in quei tempi era quasi gratuita, perché dopo ogni battaglia gran parte della popolazione sconfitta passava in schiavitù: era gente valida che, inquadrata in cantieri di lavoro, dava una forte resa.

Noi immaginiamo che la costruzione di Norba, per abbreviare il tempo, sia stata divisa in diversi lotti e affidata a maestranze diverse.
Norba non era una cittadina fatta per gli ozi estivi della gente danarosa; era una città fortificata; un gran castello in armi.
Bisognava utilizzare la difesa che il posto offriva con le forti pendenze sopra Ninfa fino al Fosso Canalone.

In questo tratto la costruzione delle mura di difesa era certo meno complicata; bastava che avesse una mediocre altezza ed i massi appena squadrati.
Però dove si potevano applicare le macchine di assalto, come le torri mobili e le vince, la muraglia è massiccia e resistente.

La parte meglio curata per grandezza di pietre e levigatezza di superfici è quella che guarda il versante lepino.

Non fu solo il criterio estetico che consigliò la rifinitura del lavoro, ma il pericolo di at-tacco che la zona accessibile offriva al nemico.

Tuttavia, è bene notarlo ancora, Norba è stata fortificata in due periodi : prima in epoca albana e le mura cingono solo l'acropoli minore; parte di esse cinge ancora la zona di sud est; poi venne la grande costruzione romana su tutta la superficie del colle dopo il 492 a.C.

La Porta Maggiore mostra con orgoglio una saggia strategia.


Norba- Porta Maggiore

E' bella, disegnata con gusto e precisione con l'accostamento di due superfici : una piana e allungata ; l'altra rotonda e protesa all'esterno a formare una torre elegante.

Il nemico che provava ad entrare doveva assottigliarsi necessariamente in piccolo drappello perché l'accesso è a corridoio e doveva poi subire il lancio dei dardi e delle fionde dai lati che sovrastano l'adito per un lungo tratto.

I Norbani erano bravi tiratori di fionda.

Si sono trovati nella campagna adiacente alle mura molte pallottole di piombo acuminate alle estremità.

Se ne mettevano due o tre nel sacchetto di cuoio della fionda ; si facevano violentemente roteare gli spaghi della medesima, facendo asse della mano destra.

Presa poi la mira si lasciava libero un capo degli spaghi e i pezzi di piombo sibilando per l'aria, come una piccola mitraglia, andavano inesorabilmente al bersaglio.

La Loggia.
Per allargare la visuale di osservazione e per proteggere la superficie delle mura nella eventualità di una scalata i costruttori fecero tra la Porta Maggiore e la Segnina un gran torrione che i nativi chiamano la Loggia.
Si presenta tutta ripiena. Non si sa se nell'interno avesse potuto contenere depositi di armi o qualche vano nascosto per sortite difensive.

Le posterule.
Oltre le porte principali ci sono lungo le mura delle piccole uscite chiamate posterule (= piccole porte) le quali forse comunicavano con un corridoio interno e sotterraneo fino agli alloggi della truppa, qualcuna oggi è franata.


LA TECNICA COSTRUTTIVA DELLE MURA CICLOPICHE NORBANE

Facendo un raffronto tra le mura norbane e quelle serviane della Stazione Termini a Roma, si nota una grande differenza.
Queste di Roma sono ben squadrate, uniformi; la messa in opera è semplice: un blocco sopra l'altro con ritmo costruttivo perfetto.


Le mura serviane presso la stazine Termini a Roma

A Norba la tecnica è completamente diversa. Il materiale non è il peperino o il tufo che si taglia agevolmente; è pietra viva, cavata dalle falde rocciose del monte.

Tutto il materiale è utilizzato senza sprechi: i blocchi grandi e medi impiegati nella costruzione, i piccoli come zeppe e ritagli; le scaglie e la minuzzaglia petrosa come riempitivo insieme a cocci e terra tra i due paramenti della muraglia.

Questa, infatti, era formata a due testate: l' esterna più lavorata e una interna più grezza ma compatta.
I massi impiegati erano di molte forme regolari e irregolari.




Ogni elemento stava più per la spinta laterale che per la sua gravità. Levata infatti una pietra, nessun'altra doveva cadere.
Questa è la legge fondamentale dell'arte megalitica, che fu applicata non solo a Norba o in paesi difesi dallo stesso sistema, ma anche nelle costruzioni nuragiche della Sardegna.
La pietra era cavata sul posto possibilmente, come ancora si vede, e lavorata in facciata e nei lati di contatto.
Con i carriaggi si trasportava e si faceva il montaggio.

Gli antichi lavoravano sempre in piano: costruivano cioè delle strade o dei terrapieni dinanzi alla fabbrica, in modo che il materiale di accrescimento vi potesse essere trasportato dai buoi o fatto rotolare con assi.

Una volta portato lassù il pezzo era agganciato da arpioni e da funi e con appropriati congegni collocato a suo posto.
Non sappiamo quali macchine elevatrici avranno adoperato.
E' certo che i principi della leva, della carrucola, del piano inclinato, del verricello erano ad essi notissimi.

Basti ricordare quanto Archimede soleva dire: "Datemi un punto di appoggio ed io vi solleverò il mondo!".

Un'altra grande arte ha derivato i suoi principi dalle mura ciclopiche: il mosaico! Sembra paradossale!

Eppure se si osserva la struttura delle pietre, si può scorgere all'ingresso della Porta Maggiore bei tratti dell' opus vermiculatum e altrove la sapiente campitura delle tessere musive, che sarà l'orgoglio dell'ornamentazione romana.


L' APPROVVIGIONAMENTO D'ACQUA A NORBA

Non si sa come Norba si potesse approvvigionare d'acqua.
La sua posizione è abbastanza alta e non c'è traccia alcuna di acquedotti esterni.

Del resto è ovvio che Lepido, il generale sillano che l'assediò e la distrusse, per prima cosa, se c'erano, avrà distrutto gli acquedotti per costringere i Norbani alla resa per sete.

Ma per il fatto che non rimangono resti di acquedotti in superficie, non se ne può dedurre che non ne avessero affatto.

Gli antichi conoscevano la condotta d'acqua per discesa naturale e per elevazione mediante macchine speciali quali il Timpano, la Noria, la Coclea, la Ruota a pinze e il Sifone.

Per questo ultimo sistema bastava che il luogo di scarico fosse più basso della sorgente e l'acqua, superata nel tragitto anche una altezza superiore, avrebbe raggiunto la città.

I due studiosi di Norba, Giulio Schmiedt e Ferdinando Castagnoli hanno rilevato due depositi grandissimi di acqua: uno a Porta Segnina e l'altro sul versante dell'acropoli maggiore tra l'ingresso e la loggia.

Un altro straordinariamente grande stava pure dopo l'acropoli minore e anch'esso verso la loggia; tanto grande da formare un " Lacus ".

Questi depositi dovevano essere fatti a piano inclinato perché le impurità andassero a depositarsi nel fondo per decantazione e a livello fluisse acqua limpida.

Al centro della città c'è un castello di acque ancora abbastanza conservato, nel quale terminava il flusso, e forse conteneva le " Fistulae " o tubi di acciaio per la distribuzione.

Questo rudere è chiamato dai Normesi " la grotta del Bauglione " e ha dato origine a tante leggende a motivo del mistero dei suoi cunicoli inesplorati che adducevano acqua da vari punti.

La scesa delle acque in questo deposito doveva essere molto rapida, perché in alto ha dei fori o sfiatatoi per evitare che la grande pressione avesse fatto scoppiare gli impianti.

Per le condutture si adoperavano tubi di coccio saldati con pasta speciale fatta di calce viva ed olio.

C'erano anche tubi di piombo a diversa sezione, la cui costruzione era fatta con lamina dì piombo avvolta attorno ad un asse di legno e chiusa al dì sopra con la piegatura.
I gomiti, dove la pressione dell'acqua era maggiore, erano di pietra robusta o di bronzo.
Anche di bronzo erano le valvole, i chiusini e le cannelle di erogazione, recanti forme di testa di lupo, leone o altro animale.

I canali in muratura venivano intonacati con una malta chiamata " Opera di Segni " ( opus segninum) composta di calce grassa e mattone pesto.

Si comprimeva dentro il canale con uno strumento di legno e diveniva impermeabile.

I pozzi privati fatti a forma di bottiglia rigonfia, sono numerosissimi. C'è anche un altro grande spazio ovale posto verso il centro tra le due acropoli, collegato con cisterne coperte ad ogiva.

E' da notare che i grandi bacini idrici sono posti in basso dove l'acqua piovana era convogliata dalle alture e ridistribuita con opere di canalizzazione.

Dalle numerose buche praticate per sondaggi, o franate spontaneamente appare che il sottosuolo norbano ha un' arteria copiosa di gallerie e camminamenti.
Non saranno state unicamente opere difensive e militari, ma anche condotte d'acqua e fognature.

E' chiaro che in tempi dì siccità, quando non pioveva, esaurite le sorte idriche, i Norbani saranno andati ad attingere acqua ai pozzi delle campagne vicine o addirittura al fiume Ninfeo, verso il quale era aperta una porta della città: la Ninfina.



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